Tra cibo etnico e tradizione tra chiusura e cultura
La proposta del ministro Franceschini di vietare la vendita di cianfrusaglie di ogni tipo nei centri storici e la presenza di camioncini che vendono cibo di ogni sorta attorno ai monumenti, viene firmata nel giugno 2014 dall’allora presidente della Repubblica Napolitano e inserita nel più ampio decreto Art Bonus. Il ministro dice: “la norma prevede che i comuni, d’intesa con le regioni, possano individuare zone aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui vietare o subordinare ad autorizzazione l’esercizio di attività commerciali non compatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale” . Qualche giorno fa, lo stesso ministro esce con un’altra proposta in materia, che si discosta dalla precedente, perché viene data la
possibilità ai sindaci, non d’intesa con le regioni almeno da ciò che si capisce, con una semplice ordinanza, di regolamentare la vendita di cibi etnici nei centri storici per salvaguardare le tradizioni locali. Il sindaco di Firenze Nardella coglie la palla al balzo e firma un’ordinanza con la quale ordina, per i nuovi ristoranti, di avere almeno il 70% di cibo della tradizione toscana.Il sindaco di Padova, che già ha fatto chiudere dei Kebab per motivi di sicurezza, tra l’altro perdendo il ricorso intentato dall’esercente di piazza della Frutta, ha cominciato a mettere in moto la sua macchina della propaganda del: ”Basta kebabbari in centro storico”. Fin qua niente di nuovo naturalmente. La salvaguardia del cibo della tradizione veneta, è un fatto importante, è parte della nostra storia, ma le domande da porsi, visto il decreto e il movimento dei sindaci, sono molte e per un certo verso imbarazzanti.
Leggo che alcuni giovani appartenenti alle seconde generazioni di stranieri, quasi tutti nati in Italia, con un progetto dell’Università, hanno fatto da guide turistiche ad un tour gastronomico della nostra città per far assaporare gusti, profumi e tradizioni dei molti ristoranti non della tradizione veneta. Quindi, perché vietare l’apertura di ristoranti o venditori di cibo non italiano quando progetti della nostra Università vanno nella direzione diametralmente opposta? Tra l’altro i ristoratori cosiddetti “etnici” ci sono già. E
Ma allora, caro sindaco, come al solito lei vorrà chiudere tutti i Kebab, oppure vorrà rivoluzionare tutti ristoranti che non servono quel cibo secondo lei non italiano? E’ pronto a far chiudere i ristoranti cinesi, indiani, dell’est, messicani, tutti i venditori di suschi, i Mac Donald, i Burger King, oppure vorrà vietare solo l’apertura di nuovi Kebab se non, addirittura, la chiusura di quelli già presenti? Naturalmente i venditori di kebab, secondo la sua modesta opinione, sono musulmani, potenziali terroristi, fonte di degrado e via dicendo. In tutta Italia si lavora per integrarsi anche attraverso quell’elemento fondamentale che è il cibo, perché da noi e, purtroppo, anche in altre città italiane, no? Noi non dobbiamo perdere il nostro cibo, i nostri straordinari gusti, ma le chiusure non hanno mai portato nulla di buono. Lo dico a lei ma anche al sindaco di Firenze Nardella. Per il ministro Franceschini, aspetto di leggere fino in fondo il decreto. Comunque, la strada è tracciata che lei e il sindaco di Firenze lo vogliate o meno: regolamentazione sì, chiusure no.