Sul filo sottile della memoria
Tutto si trasforma e se ne va velocemente sotto la pressione di un dito per un clic. La memoria rimane così, qualcosa di passeggero, fatto per essere dimenticato rapidamente. Per costruire altro di più assordante, meno coinvolgente, meno monotono, meno sempre …lo stesso. E il 27 di gennaio, dall’anno 2000 in poi, è di ventato, invece, il giorno in cui, ostinatamente e testardamente qualcuno vuole ricordare. Sollecitare anche i più distratti, quelli che sbuffano in continuazione perché hanno fretta e non hanno tempo per fermarsi un attimo. Eppure milioni di uomini e donne, giovani e anziani hanno trovato la morte rapida o avvolta in un cinico sadismo che qualsiasi mente umana minimamente ragionevole riesca a pensare.
Eh, sì, godere della sofferenza altrui ed essere soddisfatti per la sua morte. Ripetuta ostinatamente centinaia, migliaia, milioni di volte. Davanti agli aguzzini non c’erano occhi che guardavano, cuori che pulsavano, emozioni che stridevano, urla che si infrangevano nella corazza della sua indifferenza, ma semplicemente qualcosa di inutile e drammaticamente insignificante. Non so chi fosse veramente uomo se la vittima o il suo aguzzino. Donne , usate e abusate, che non potevano partorire per non creare futuro e figli che se, casualmente nascevano, venivano lasciati morire. Non erano uomini, ma anch’essi parte di stirpi abbiette e dannose alla gloria. Camminare sulle loro tombe nei campi di sterminio e concentramento, ci si illude di trovare ragione di tutto ciò. Un elenco infinito di morti a cui è difficile dare anche un nome.
Ma c’erano, ed hanno sofferto. Troppa sofferenza alla quale fin dall’inizio nessuno credeva. Il male assoluto, l’assenza di Dio, la vergogna dell’umanità, l’oblio della ragione. Questo e molto altro, è stato. Ma il trascorrere degli anni, il ridursi del numero dei testimoni, l’affievolirsi dei ricordi, rischia che tutto passi e rimanga solo qualche studioso o insegnante che, oltre alla riga sul libro come ha detto Liliana Segre, proverà a far aprire gli occhi alle nuove generazioni per evitare che il ricordo scompaia senza più fare ritorno. Perché quando qualcosa scompare, è per sempre e lascia vuoti incolmabili. Poi il nulla. Oggi però il pensiero si è rivolto ancora ad un passato che ha voluto essere presente nelle parole dei testimoni. Parole che, ancora, sono mezzo per raccontare e per far rivivere esperienze di chi ha immagini fotografate solo dall’obiettivo della propria mente.
Le descrivono nei dettagli, nei contorni, nelle figure , nei protagonisti che ossessivamente gridavano aiuto senza essere ascoltati per poi cadere nella rassegnazione e accettare la morte come ineluttabile. Ho visitato molti luoghi di morte, spesso più volte con studenti, amici, familiari. Ho inutilmente cercato le ragioni di tutto ciò osservando gli spazi angusti del riposo, le passeggiate tra i viali delle baracche, gli oggetti di famiglia rimasti, le foto sorridenti di chi non c’è più, i luoghi delle torture e della morte, le fosse comuni, il campo per lo svago dei soldati. E ancora le abitazioni delle guardie dove serenamente vivevano con le loro famiglie e dove tornavano dopo il duro lavoro nei campi di sterminio. Ho osato immaginare, trasferire i miei pensieri raccolti da letture e testimonianze in quei luoghi. Non ho trovato risposte, solo domande. Spero che queste domande continuino senza rompere il filo sottile della memoria