Roberto Mazzotta – I cattolici, il partito e il ruolo del premier
Caro direttore,
nell’articolo molto condivisibile pubblicato dal Corriere della Sera, il professor Antiseri augura la fine della diaspora politica dei cattolici e la formazione di un partito sturziano di cristiani «liberali e solidali». Gli fa seguito, sempre sul Corriere, il ministro Riccardi con alcune osservazioni realistiche e necessariamente non conclusive. Vediamo se riesco a fare qualche piccolo passo avanti. Partiamo dal contesto. Io non partecipo alle rappresentazioni del carro di Tespi del catastrofismo. Penso però che conviveremo a lungo con un pesante rallentamento delle attività e abbiamo purtroppo ritrovato la povertà che eravamo riusciti a battere come malattia sociale. Una consumata abilità ha consentito di mettere in campo un Governo di persone per bene che alterna piccoli miracoli a modesti errori, ma il termine della legislatura è terribilmente vicino e il quadro dell’offerta politica è molto debole. È opportuno però non trascurare le positività su cui si potrebbe contare, come la nostra capacità di lavoro, di risparmio, di umanità. Vi è quindi una domanda immensa di buona politica. In queste condizioni se il cosiddetto «mondo cattolico» continuasse a rimanere disperso e quindi sostanzialmente assente, si macchierebbe di una colpa grave. È certo che la società italiana è ben diversa rispetto ai tempi di Sturzo o di De Gasperi. La realtà non è più la stessa e quella che Antiseri chiama con il suo umorismo semplificatorio «la truppa» oggi è tutta un’altra cosa. Però, attenzione c’è un però, l’esigenza di oggi non è quella di realizzare potenti schieramenti da contrapporre a «nemici» storici o politici, ma è quella di concorrere a colmare un vuoto che è diventato pericoloso e che porterà alla crisi civile, se non si troveranno rimedi. Occorre avviare un nuovo ciclo politico, mettendo come fattore comune l’impegno per tutelare le libertà personali e collettive, far vivere una società solidale, ricostruire le condizioni dello sviluppo e del lavoro. È un progetto possibile che ha come metodo l’apertura, come connotazione la laicità, come sostanza la ricchezza dei valori etici e civili ben presenti ed esemplari nelle storie politiche dei cristiani, dei liberali e dei socialisti che realizzarono la liberazione e la ricostruzione. Il forum delle Associazioni riunì l’anno scorso a Todi uno schieramento largo e omogeneo, le Acli e la Cisl, le cooperative e gli artigiani, i coltivatori diretti e le piccole imprese e con loro l’associazionismo cristiano che opera nel mondo della cultura, della comunicazione, della pratica religiosa per un primo confronto di propositi. Il mese scorso ha pubblicato un documento unitario, «Per la buona politica», e intende proseguire la sua strada di riflessione e di proposta. Si tratta di un lavoro prezioso che, se concorreranno le condizioni e le volontà necessarie, è in grado di assumere la consistenza di un progetto politico dotato di idee forti, aggiornate e aperte e sostenuto da strutture articolate e rappresentative. Ma quale progetto? La discussione è aperta e la strettezza dei tempi la costringerà a essere concludente. La mia convinzione è che si debba percorrere una strada in qualche modo già segnata. Il panorama delle forze politiche che hanno fin qui occupato la scena ha le caratteristiche che tutti vedono. D’altra parte gli interessi italiani sono nella bufera, al centro di una crisi europea che non consente vuoti di potere o manifestazioni di confusione politica. Né possiamo permetterci dal risultato elettorale della primavera prossima esiti simili a quello greco. Se fossimo previdenti, avremmo il dovere di assegnare alle forze riunificate e riattivate dall’associazionismo cristiano il compito di funzionare come elemento aggregante delle energie vive del Paese, favorendo un vasto rassemblement capace di chiedere agli elettori di dare una base forte e stabile di legittimità democratica alla continuità di un’azione di governo che possa essere efficace e credibile là dove è necessario e decisivo esserlo, a Bruxelles, a Berlino, a Washington. Possiamo convenire, essendoci guardati intorno, che il ruolo indispensabile di «federatore» di quel rassemblement spetti al capo del governo che porta il Paese alle elezioni e chiede ai cittadini di poter continuare un lavoro altrimenti lasciato a metà con l’autorevolezza che deriva solamente dalla volontà popolare. A un simile proposito, laico e riformatore, l’associazionismo cristiano saprebbe anche offrire una parte di nuova classe dirigente, preparata e pulita, già sperimentata nel lavoro sociale e civile in tutte le realtà del Paese. Un amico mi ha suggerito un bel verso di Hölderlin: «Là dove è il pericolo cresce anche ciò che salva». Dobbiamo crederci.