Palmyra: storia, meraviglia e morte
Nel 2008 con mia moglie e i miei figli (allora 18 e 15 anni), forse un po’ sprovveduti, definiti da qualcuno anche irresponsabili, siamo partiti via terra per andare in Siria. Croazia, Serbia, Bulgaria, Turchia e infine Siria. Prima di varcare il confine siriano nella zona di Antiochia di Turchia (ora luogo dove entrano clandestinamente gli occidentali dell’Isis) un po’ di irrequietudine c’era, ma poi, cominciando a conoscere i siriani ed essere vicini a quei luoghi che hanno fatto la storia di grandi civiltà, tutto si è sciolto. Dopo Aleppo, il monastero di San Simeone lo Stilita, Apamea, Hamas, Craak de Chevalier, si è arrivati, a Palmyra. Per arrivare in questa oasi in mezzo al deserto, ci accompagnavano cartelli che indicavano Iraq, Bagdad, luoghi che non facevano presagire nulla di buono. Palmyra era (purtroppo) un luogo straordonario, curato in ogni suo particolare. Un signore siriano, trovato sul posto, che parlava un discreto italiano fu la nostra guida, facendoci capire e apprezzare l’eccezionalità di quel luogo. Le prime tracce di Palmyra, si trovano addirittura nel libro biblico delle Cronache, quindi prima del IV secolo a.C.. Un grande centro di transito carovaniero per chi arrivava da Oriente e dove, per commerciare le proprie mercanzie, si doveva pagare una “tariffa”. Ancora oggi è intatto il teatro , che più che come teatro, veniva utilizzato per grandi riunioni pubbliche. E poi il tempio Baal, ancora straordinariamente conservato (?), divinità con ogni probabilità arrivata dalla Babilonia (ora in Iraq) visto che anche Palmyra si trova non lontano dai fiumi Tigri e Eufrate e quindi dalla Mesopotamia. Il tempio Baal, ricordava la guida, era famoso per le ricorrenze di aprile in cui si festeggiava la divinità e durante le quali venivano sacrificati animali e il sangue sembra scorresse talmente copioso tanto che fu costruita una vasca di raccolta. Palmyra venne distrutta per la prima volta da Antonio nel 41 a.C., poi ricostruita perché ritenuta strategica. Aveva una lingua propria molto vicina all’aramaico, dialetto che parlava Gesù e che ora si parla ancora tra i pochi, cristiani, che si trovano ancora a Maalula, non lontano da Damasco. Il lungo cardo aveva 335 colonne, ora rimaste (?) 135, non lontano c’è (c’era?) una necropoli nelle cui tombe venivano ospitati signori e servi…Ironia della sorte, prima di una possibile invasione, ci fu qualcuno che nascose i tesori di Palmyra per non lasciarli in mano agli aggressori. Sembra che il vescovo della città, Marino, abbia partecipato al Concilio di Nicea (in Turchia non lontanissima da Istanbul) nel 325 d.C. . Addirittura nel VII secolo a Palmyra viveva un discreto numero di ebrei che si arresero alla conquista islamica e, com’era abitudine dei musulmani per chi veniva conquistato, godettero di un trattamento benevolo. Sicuramente una storia particolare, unica, straordinaria. A fianco del tempio del dio Baal, sorgeva un’abitazione che la guida riferiva occupata dagli archeologi in stagioni meno calde (noi in agosto, si viaggiava sempre sopra i 40°). Probabile che gli archeologi, soprattutto tedeschi, a detta della guida, fossero diretti da Kalhed Asaad, archeologo siriano che da 50 anni si occupava dli Palmyra e che voleva conservare il grande tesoro dell’umanità e per questo è stato decapitato. Una tragica storia che a Palmyra si è ripetuta nei secoli. Chiedersi perché mi sembra banale, ma sapere che la distruzione di luoghi straordinari, tesori dell’umanità avviene per motivazioni sconcertanti e causa la morte di chi quei luoghi ha amato, mi sembra umanamente assurdo. A me e alla mia famiglia rimane stampato davanti agli occhi e nella mente che nella meravigliosa Siria c’era la straordinaria Palmyra, uno dei più bei e affascinanti luoghi visitati e sapere che qualcuno l’ha distrutta, mi rattrista. Mi rattrista molto di più, però, che ora le vittime sacrificali al “dio ignoto” dei nuovi barbari siano uomini. E mi spiace che dei siriani, magari cittadini di Palmyra (300 in tutto), ci si ricordi solo come profughi. Io non so se si potrà ancora, un giorno, visitarla, lo spero, ma il sangue che scorre ora in Siria mi dice che probabilmente, per fare un’altra volta ciò che noi e altri hanno fatto, ci vorranno, purtroppo, ancora molti anni.
re quelle meraviglie.