Padova: che fare per la “meglio gioventù”?
A leggere i dati del rapporto Caritas 2016, sembra che per molti giovani non ci sia proprio speranza. Soprattutto al sud, molti sono disoccupati e si recano alla Caritas perché sono in difficoltà loro e anche le loro famiglie che, fino a poco prima, facevano da welfare. I dati non lasciano tranquilli nemmeno nelle nostre zone: 17% tra Padova e provincia sono i NEET, quelli non lavorano e nemmeno studiano, oltre a 12.000 disoccupati con un aumento del 91,5% dal 2008. L’Europa ha messo fondi importanti perché si possa uscire dal tunnel del “nulla” e riprendere, quanto meno, un po’ di speranza di inserimento in un mondo, quello lavorativo, sempre più complesso, articolato e in continuo e rapido cambiamento. Molti se ne vanno all’estero, e non solo quelli che vengono definiti “cervelli in fuga”, ma anche molti che si portano appresso un carico di umanità e dignità, oltre che di capacità da mettere a frutto.
Allora che fare? Cosa possono fare le istituzione locali per dare risposte e opportunità? Il lavoro, naturalmente, non si crea dal nulla e nemmeno a tavolino, ma deriva da investimenti, progetti, capacità, competenze e anche rischi. E se tutto ciò venisse ripreso, rielaborato, ripensato dai soggetti che si occupano di lavoro e dai giovani stessi, cosa accadrebbe? Io credo e spero, che ci sia la volontà dei singoli enti o associazioni che hanno a cuore il lavoro, l’impresa, il futuro di una città che non può trovarsi solo con l’esigenza di accudire, giustamente, anziani più che di risvegliare energie giovanili nuove
Penso che confrontarsi costantemente per capire reciproche competenze e offrire percorsi di opportunità per i giovani non sia solo necessario, ma fondamentale perché la nostra città si affranchi dallo spopolamento e non si nasconda dietro alle lacrime che, l’entusiasmo e la volontà giovanile dovranno, se non cancellare, almeno attenuare. Difficile confrontarsi, difficilissimo sedersi insieme alla “città” per sconvolgere i troppi personalismi che, pur nelle buone intenzioni, rimangono isolati dal resto. E chi se non le istituzioni cittadine, dovrebbe avere la lungimiranza di convocare le forze positive e propositive di questa città e capire insieme che cosa fare.
Ma una città deve rinascere attraverso rinnovate relazioni tra persone e forze positive, economiche e sociali, le uniche a poter costituire un fondamento nuovo dal quale partire. E questo perché si possa superare quel conflitto che difficilmente può attrarre risorse e competenze e che non può portare nulla a chi ha davanti sé la vita e magari, vorrebbe rimanere o ritornare nella propria città. E’ necessario ripensare questa città per dare una speranza a chi ne costituisce, già oggi, il suo futuro.