La scuola ai tempi dell’epidemia: chissà!
Il 22 febbraio, quasi un mese fa, le scuole hanno chiuso. Prima quelle del nord e poi di tutta Italia. Le ipotesi di ripresa si sono continuamente spostate rincorrendo l’aumento dei contagiati e i rischi di riaprire luoghi frequentati da masse. La data fissata al 3 aprile è saltata: forse il 6 maggio? Una rincorsa a capire come fare, a escogitare stratagemmi didattici affidandosi a ciò che di meglio la tecnologia offriva. Una straordinaria movimentazione da parte degli insegnanti attraverso centinaia di messaggi, mail, proposte, orari.
Prendendo in mano una didattica di fatto monca, quella on line, ma meglio che niente. E si va avanti. Connessioni deboli, la voce che va e viene, si chiude l’immagine per non affaticare la linea alla quale sono collegati la sorella che va all’università, la mamma in smart working tutto il giorno e il babbo alla mattina perché al pomeriggio è in ferie. La voce arriva non sempre perfetta, i compiti inviati o dettati non sempre arrivano, ma si fa! Non c’è alternativa. Ci si prepara, si legge, si corregge, si preparano compiti, lezioni: si fa! Sappiamo che il Ministero sta monitorando la “didattica leggera” (?). È talmente leggera che gli studenti, dopo i primi momenti di curiosità ed entusiasmo, forse, cominciano ad avere qualche segno di cedimento. Ma quanto tempo ancora! Sono preoccupati, non sanno e non capiscono cosa succederà domani, quale sarà il loro futuro scolastico.
Non hanno chiaro il domani, semplicemente perché nemmeno gli insegnanti ce l’hanno chiaro, non hanno idea di quanto durerà questa storia, isolati in casa collegati da zoom. Intanto la ministra sembra non dire nulla: forse sta aspettando gli eventi anche lei. E anche se il tutto finisse 6 di maggio, saremmo sicuri che, rimpolpando le truppe scolastiche in autobus, in classe, in giro per la città, davanti al caffè, in giro per i corridoi, non ci sarebbero altri, dico altri rischi? Un bel dilemma che va pensato e ripensato per riuscire a dare dei criteri perché si evitino confusioni e, soprattutto, si vada a mettere in difficoltà il presente e il futuro della scuola: lo studente.
Ora si continua, forse diventerà routine senza empatia, senza aula, di fatto senza scuola. Ma ci si siamo adeguati in fretta e ci adegueremo, chissà ancora per quanto tempo, all’online. Spesso criticato perché mancante di profumo di presenza, ma ora necessario. Ma: fino a quando?