Guerra e pace…e pacifismo
“Fermate questo massacro” ha detto papa Francesco. Straordinarie manifestazioni di solidarietà nei confronti del popolo ucraino che, in questo momento, è costretto a sopportare la violenza della guerra e della sua capacità distruttiva. In due settimane o poco più, la devastazione delle città e dei villaggi, le persone in fuga, i morti non solo altro che il classico corollario delle armi usate per annientare un nemico. Nemico costruito dalla volontà di chi trova che un popolo, una storia, delle tradizioni, una patria, uno stato libero non debbano più esistere.
È ciò che annichilisce la ragione che si consuma nel quotidiano bollettino dei morti. Purtroppo, qualche intellettuale radical-shick, esponente di chissà quale sinistra, ostenta la sua rituale paranoia quasi a vedere l’aggredito come qualcuno che deve rimettersi nelle mani dell’aggressore per evitare ulteriori drammi. Una pace, quindi, di sottomissione di un popolo, del suo orgoglio frantumato, dei suoi figli senza futuro e senza speranza di essere ancora, forse, ucraini. Quasi a rinvigorire la “grande madre Russia” dei bei tempi in cui il sistema comunista aveva cancellato le intelligenze , le storie, le tradizioni, le culture di quei popoli che, dopo anni, si sono visti indipendenti e che ora, come gli ucraini, stanno drammaticamente vivendone il ritorno. Liberamente si sono staccati dall’impero e ora sono rinchiusi nei loro silenzi in attesa degli eventi.
Questi personaggi sono i pacifisti che sventolano le loro bandiere sostenute da ragionamenti complessi, con soluzioni assolutiste verso una pace che non c’è, di una pace che, in questo momento, viene bombardata dall’invasore. Ma lontani , sempre molto lontani dal campo dove si muore. Se nella nostra Costituzione, tra i principi fondamentali c’è il ripudio della guerra di aggressione, all’art. 52, si parla che “ogni cittadino ha il dovere di difendere la patria”. E forse gli ucraini non ce l’hanno questo diritto-dovere? Forse, in situazione di aggressione non ci può essere solidarietà cin questo popolo che vuole difendersi perché è un popolo? La solidarietà passa attraverso l’accoglienza dei rifugiati, la raccolta di materiale di prima necessità, ma non si può rimanere inermi di fronte a chi vuole difendersi, nei giusti modi e con i mezzi consentiti. O forse la comunità internazionale deve attendere la fine della guerra con il martirio del popolo ucraino così com’è successo ad altri popoli, per riempire successivamente i pensieri dei “se” e dei “ma”?
Oppure si aspetta, cinicamente la fine per la speculare sulla ricostruzione? Sulla pace siamo tutti d’accordo, ci mancherebbe, così come manifestare per la pace solo col risciacquo delle proprie coscienze, non è pace per gli altri ma solo per noi stessi. So che per tutti parlare di “armi” è miserevole e che se poi queste vengano usate per uccidere, confermano la loro assurdità. Ma, in questo momento in cui le armi sono in campo in maniera massiccia, non si può lasciare solo un popolo ad osservare la morte della propria gente. Quindi la consegna delle armi di difesa è uno strumento di solidarietà, piaccia o meno. Poi ogni sforzo diplomatico deve essere fatto, ogni giorno e arrivare ad una mediazione che non veda l’usurpatore vantare diritti di fronte alla pace. E i poi gli intellettuali che godono delle pagine dei giornali esponendo la loro bandiera della pace, riconoscano che, otre la bandiera, c’è un aiuto, difficile da digerire, ma che ci deve essere. In quello che, S.Giovanni Paolo II chiamava “ingerenza umanitaria”.