Genocidio: parola che turba
Questa parola è stata più volte abusata, usata in modo da far leva sulla sensibilità e sulla emotività delle persone per descrivere i massacri più efferati. E non mi riferisco solo al drammatico conflitto che si sta assistendo a Gaza o in Ucraina, ma ai molti conflitti che troviamo sparsi nel globo. Ma genocidio, ha un suo significato e un senso nel momento in cui si analizza la storia e si sottraggono gli eventi dai facili commenti. Il genocidio è l’eliminazione, con precisione e ostinata determinazione, di un popolo, di una etnia a prescindere dall’esistenza di qualche motivazione plausibile. E senza alcun conflitto in corso con i medesimi.
Ricordo, come ha fatto la senatrice Liliana Segre qualche giorno fa nel bellissimo articolo apparso sul Corriere, che genocidi nella storia ce ne sono stati più di uno. Se guardiamo al ‘900, ricordiamo quello degli armeni da parte dei giovani turchi con un milione e mezzo di morti. Gli Armeni non erano nemici armati in conflitto, ma erano semplicemente armeni e per questo vengono eliminati. E ancora lo sterminio dei tutsi in Ruanda e degli hutu moderati con un milione di morti. L’eliminazione nei campi di sterminio nazisti di Sinti, Rom, omosessuali, testimoni di Geova, disabili. Centinaia di migliaia. E, infine, la Shoah della quale si parla sempre poco e, talvolta, si sorvola come fosse stata un qualsiasi evento della storia. Gli ebrei furono umiliati, seviziati e, infine, sterminati.
Non credo si sia trattato di odio perché il genocidio supera anche l’odio che è un sentimento forte, ma un sentimento. L’inizio può essere determinato da una causa, magari creata ad arte, ma la fine tutto è un chiaro cammino verso il baratro: la morte, la cancellazione totale. Il genocidio trasforma la persona da eliminare in un oggetto verso il quale non si può provare alcun sentimento, nemmeno l’odio. E, per questo, l’eliminazione degli “oggetti” non può creare imbarazzo in chi lo compie perché, quelle persone trasformate non sono detestate, non sono nemici da combattere: non sono nessuno. Quindi, parlare di genocidio a Gaza o in Libano, penso sia almeno un azzardo.
Questo nulla toglie alle tante vite inutilmente morte, ai massacri, alle bombe che continuamente cadono su Gaza, agli sfollati, a chi è insicuro in ogni luogo dove si trova, al dramma umanitario, alle migliaia di bambini morti. Il tutto in un vortice mostruoso esploso il 7 ottobre di un anno fa ma che covava da tempo. Purtroppo dall’uso distorto della parola genocidio, nasce l’odio, non contro il governo israeliano che, con ciò che ha messo in atto, ha creato inimicizia verso se stesso e verso il suo popolo, ma contro gli ebrei anche se non vivono in Israele, non combattono e sono contrari alla guerra e ai massacri. Costretti a vivere con i loro luoghi di culto controllati dalle forze dell’ordine, attenti a chi in nome di chissà quale libertà o ideale, cerca di fomentarne l’odio anche con parole e gesti che si sperava non rivedere più.
Concludo con le parole di Liliana Segre: “…la cultura antifascista e antitotalitaria ha avvertito da sempre le implicazioni velenose delle operazioni di negazionismo, riduzionismo, relativizzazione, distorsione o banalizzazione dei genocidi. Da lì parte il sistematico abbassamento degli anticorpi che sorreggono la coscienza democratica dei cittadini”. Nella costante e incrollabile speranza che la guerra abbia a terminare così come la conta giornaliera dei morti innocenti.