Zaia: emergenza, ragione e responsabilità
Zaia, prima mette in campo le armi del guerriero padano a difesa dei veneti, perché il coronavirus è la battaglia del secolo. Poi un cordone sanitario a difesa del popolo che lo vede come il salvatore dal nuovo male che infetta i veneti e viene dai cinesi. Poi, solo pochi giorni dopo, lo stesso popolo, non quello cinese, ma anche quello, comincia a capire che l’emergenza è sì emergenza ma non una guerra nucleare e si ribella.
E il buon Zaia forse capisce: che le botteghe non vanno avanti se non si lavora e se qualcuno non compra, che se esco dall’Italia mi considerano un appestato, se vado al sud mi dicono di tornarmene a casa mia, i mie prodotti quelli del famoso “made in Italy”, molti non li vogliono perché hanno paura. E ancora che chiese, stadi, cinema, teatri, musei, fiere ecc. non sono solo possibili viatici di virus, ma importanti luoghi di relazione di cultura e di economia, che isolarsi è peggio che allarmarsi e che, alla fine, il virus ce l’avevamo in casa e non importato dall’Africa. E che le scuole vanno aperte perché continuare la quarantena per loro significherebbe difficoltà dell’anno scolastico, disagi delle famiglie.
E ancora che i tamponi a tutti ha significato esagerazione non sicurezza, ha creato panico e non tranquillità con il 5% positivi. Zaia, forse ha capito e quindi, cosa fa: scarica le colpe su governo, stampa e, sulla sempre poco amata Europa. L’emergenza va bene e quindi: il controllo sanitario, le scelte draconiane, la ricerca, ma ora è giunta l’ora di fare altre scelte. Mettere sotto controllo il virus, e ridare gambe proprio ai veneti.