“Buttati come conchiglie sulla spiaggia” (Erri De Luca)
Dopo qualche giorno il bambino ritrovato sulla spiaggia libica, è stato dimenticato. La pietas umana, desiderosa di commuoversi, è passata oltre lasciando spazio ad altro, stracciando quella terribile foto che diceva come anche gli umani, come i grandi pesci del mare possono “spiaggiarsi” e non avere più scampo. Non conosco le traiettorie dei cetacei ma quelle degli umani sono sempre le stesse: vado dove mi porta la speranza.
E anche quel bambino era partito, magari spinto, caricato a peso o convinto che quella era l’unica, forse l’ultima pista nel deserto della breve vita che gli è capitato di vivere. Molti arrivano a toccare riva, altri non ce la fanno e vengono risucchiati dal mare e abbandonati come un qualsiasi oggetto lungo le spiagge. Qualche mano gentile l’ha preso in mano questo “oggetto” umano e, forse, gli avrà dato una sepoltura dignitosa, forse. O forse si sarà chiesto chi fosse questa giovane anima trovata sotto la sabbia dalla quale probabilmente era partito assieme a molti altri sconosciuti, adulti e bambini. Imbarcato in una avventura al limite, vestita come un gioco per i piccoli diventati rapidamente grandi per affrontare il lungo viaggio nel grande mare, talvolta mai visto prima.
Non ce l’ha fatta! La sua speranza assieme o quella che altri avevano visto per lui come speranza, si è arenata sulla spiaggia della sofferenza ingenua ma vera di un bambino. Chissà cosa avrà pensato, creduto, visto, sofferto: non lo sapremo mai. La foto, non il racconto ci ha emozionato, ci ha detto che è ingiusto. Ma poi la notizia scompare, rapidamente, e compare la retorica, il ricorso a chissà quale giustizia internazionale o…divina. Allora si parla di immigrati, di governo libico, di lotte tribali, di carceri disumane, di violazione degli elementari diritti umani. Chissà quale colpa aveva questo piccolo personaggio immortalato e divulgato per qualche giorno per meritarsi di morire in mare. Chissà se la sua famiglia che l’ha affidato a qualche parente o a qualche carnefice, sa che il loro bambino, magari uno dei tanti, è stato trovato in riva al mare, morto. O forse, per queste famiglie, tutto rientra nel conto da pagare della loro vita già grama.
Le conchiglie prima si chiamano valve e portano dentro di sé la vita. Poi sono solo conchiglie nelle quali la vita non c’è più. Le conchiglie rimangono meravigliose, seminate sulla sabbia, ma senza vita. Qualche mano di bambino le raccoglie inconsapevole, forse, che queste erano prima cariche di vita e di futuro. Quella conchiglia trovata sulla spiaggia, distesa, immobile, giovane, bambina, ci ha lasciato la foto che gira rapidamente nel vortice del web e della comunicazione e, rapidamente, si perde. Chiedo solo una cosa: che la retorica non si trasformi in pietà e la pietà non diventi retorica. Ma quante conchiglie dovremo trovare ancora?