Andrea Riccardi – ORA LAICI E CATTOLICI LAVORINO INSIEME
Caro direttore, la fine della Prima Repubblica ha determinato la diaspora dei cattolici e lo sperpero di un patrimonio politico. Così Dario Antiseri scrive con passione, anzi veemenza, sul Corriere dell’11 giugno. Non dimentica che la storia della Seconda Repubblica è stata accompagnata da una «strategia» ecclesiastica che ha ricollocato la Chiesa tra le forze in campo. Ma quel mondo è finito e una nuova Repubblica non è mai nata. Per far fronte a una gravissima crisi economica, è avvenuta la svolta del novembre 2011 con il governo Monti, grazie a un atto di responsabilità delle forze politiche. Era logico pensare che il tempo di un governo tecnico avrebbe dato agio ai partiti di ripensarsi dal punto di vista della cultura politica e, soprattutto, di radicarsi nuovamente nella società italiana, dove tante reti politico-sociali si sono sfilacciate. Nell’Italia reale, infatti, non mancano reazioni, rabbie, speranze, desideri; ma tutto questo non si fa passione politica. Sembra faticosa la comunicazione tra il sentire quotidiano della gente e la politica. La sintesi più vistosa viene realizzata dall’antipolitica con il discredito sistematico delle forme della politica.
E i cattolici? Antiseri si duole della loro assenza che, a suo dire, non nasce dalla mancanza di voglia di far politica, ma dalla diserzione dei loro leader. Il filosofo vede «sempre più necessario un partito di cattolici liberali, un partito sturziano». Nel suo articolo (in cui non fa nomi pur ripercorrendo gli ultimi vent’anni del cattolicesimo italiano), ha la bontà di ricordare chi scrive, come «disertore» verso tanta impresa e colpevole di aver detto che non è l’ora del partito cattolico. Il cattolicesimo italiano, nella sua storia, conosce partiti, lanciati e abortiti. Invece il Partito di Sturzo ebbe alle sue spalle, nel primo dopoguerra, la grande spinta del cattolicesimo del «non expedit», cui dette identità politica. La Dc, dopo la Seconda Guerra Mondiale, forte della rete della Chiesa, congiunse moderati e varie forze sociali, collocandosi al centro del sistema. De Gasperi governò la ricostruzione nell’alleanza tra cattolici e laici. Di fronte c’era la grande sfida del comunismo.
Quella sfida non c’è più. Né c’è il cattolicesimo organizzato di allora, nonostante esso ancora sia rilevante del vissuto italiano. I cattolici sono abituati alla diaspora in quasi tutte le forze politiche. Tuttavia, a ben vedere, una grande sfida c’è. È il caos della disgregazione di un Paese che poco si riconosce nelle istituzioni e nella politica. È il caos della crisi economica, che richiede attento governo e non avventure. Per questo responsabilmente i partiti hanno dato vita all’attuale esecutivo. Ma molti, in giro per il mondo, si chiedono: e dopo le elezioni del 2013?
Antiseri vede la risposta in un partito sturziano e cattolico. Francamente non mi sembra aggregante e mobilitante, nonostante la mia grande attenzione al pensiero di Sturzo. La sinistra si è aggregata richiamandosi a una storia politica. Al centro e sulla destra – mi pare – ci sono vecchie e nuove presenze, idee, ma anche crisi. Per i cattolici, da tempo, De Rita aveva notato l’assenza di un «federatore» come furono De Gasperi e Montini negli anni Quaranta. I mesi trascorsi lo hanno confermato.
L’azione di governo di Mario Monti e il suo senso di responsabilità personale hanno inserito nel panorama italiano un fare concreto (tecnico), dietro cui si intravede un’ispirazione cattolica. Non si può pensare – allora – alla lezione di De Gasperi come riferimento per una cultura politica capace di far lavorare insieme cattolici e laici, politici e tecnici, per ricostruire la Repubblica in un’Europa coesa? Bisognerebbe riflettere meglio sull’eredità dello statista trentino (e la sua ammonizione a non riprodurre storici steccati tra guelfi e ghibellini) e non tanto sulla possibilità di rieditare un partito cattolico.
Un pericolo si apre innanzi ai protagonisti della prossima legislatura: quel caos congeniale a un’Italia frammentata in profondità, ma tanto pericoloso per un Paese a rischio. Torna alla mente lo slogan del socialista Giuseppe Romita alla vigilia del referendum del 1946: «O la Repubblica o il caos». In ben altri termini, in modo però insidioso, si ripropone oggi quell’alternativa. Ci vogliono forze politiche «repubblicane», capaci di guidare l’Italia in una nuova stagione e di evitare lo scivolamento nell’abisso. Questa mi appare la risposta all’antipolitica, non tanto la deprecazione che fa parte di un teatro in cui questo fenomeno prospera. Sono alcune riflessioni che l’articolo di Antiseri ha provocato in me. Più che di riesumazione di foto dai libri di storia (anche gloriose), c’è bisogno di grandi e coraggiosi disegni per un’Italia che faticosamente si avvia nella complessa globalizzazione.
Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione.