Partito Democratico: dalla “Ditta” all’”Impresa” guardando le stelle rimaste
Un gioco di parole per cercare di osservare la faticosa attraversata del Partito Democratico. Nonostante tutto gode ancora di un cospicuo numero di elettori, di una organizzazione antica ma che stenta, di amministratori ad ogni livello e di importanti gruppi parlamentari. Il trapasso da un’opposizione responsabile, ad un governo responsabile ad un governo di continuità responsabile non è stato facile. Di fronte c’è l’Italia, gli italiani, il futuro del paese e quello del Partito. Sembra strano ma da più parti si parla che dentro al partito spariglino ancora gli ex DS e gli ex Margherita che continuano a spartire gli spazi di potere così come l’ultima infornata di ministri nel governo Draghi.
Scelta che è sfociata nella sfuriata delle donne del Partito visto che nessuna è stata chiamata a far parte della quadra del governo. Tutti e tre i ministri a capo, o comunque, a quanto si dice o si sa, molto vicini ad una “corrente”. Quindi, alla fine il partito a correnti continue che, insieme, sgomitano per trovare spazi. Il tutto dentro a quel binomio degli ex che si vuole nascondere ma che di fatto esiste, a tutti i livelli. Tutti a rincorrere , a forzare, a tentare di scardinare il sistema granitico formatosi all’atto costituente, ma di fatto nulla muta così come la condizione in cui sta vivendo il partito.
Il timore di non essere governativi ha messo il segretario e buon Zingaretti, di fronte a quella che viene chiamata responsabilità ma che, probabilmente, è l’infaticabile arrancare dietro ai 5S, criticati ma ora circondati per farli diventare sempre più governativi , cioè vicini. E capire se rimarranno ancora uniti, se ci si potrà fidare se si potrà veder in loro un partito o grumo di personaggi alla continua ricerca di se stessi. E poi, le ambiguità sulle scelte delle settimane recenti, passate da Conte o morte a, “sicuramente” Draghi, ci spiega come più che una forza che ha dalla sua capacità e competenze, una forza che è costretta, suo malgrado a trovare continue giustificazioni delle proprie scelte.
Detestare Renzi per aver fatto cadere il governo Conte che volgeva al declino, non è sufficiente. Soprattutto se questa era la prospettiva che, in camera caritatis, i dirigenti del PD cercavano. Ammiccare a Leu e ritornare alla vecchia “ditta” non apre a nuove prospettive per un partito che vuole sì governare, ma anche tentare di essere se stesso, cioè democratico. Questo ritorno potrebbe portare molti elettori a svegliarsi in uno stato confusionale e guardarsi attorno per capire cosa fare. Oppure ritrovare chissà, nuovo “entusiasmo” (parola grossa).
Sarà un’”impresa”, non so se impossibile, ma certo capire se è meglio guardare al centro tendente a sinistra o guardare a sinistra verso una ulteriore sinistra. Oppure, investita dalle correnti, rincorrere i confusi 5S come unica ancora per governare e ritrovare se stessi. 5S che fine faranno? Probabilmente non saranno più gli stessi e non avranno nemmeno gli stessi numeri. Ma i pochi che rimarranno alle prossime elezioni, saranno affidabili alleati? Intanto le difficoltà del PD che talvolta sfociano in lacerazioni, rimangono e ci si chiuede se l’attuale segretario sarà in grado di guidare la barca in mare aperto. E quelli che l’allora segretario Bersani chiamava i “nativi del PD”? Penso siano morti nella culla.