Un inutile sacrificio?
Da tre mesi la pandemia ci ha investito come un rullo compressore. Il virus sembra, lentamente, abbandonare la presa, anche se ha portato con sé migliaia di persone. E aggiungo “persone” non vecchi, ammalati cronici, individui con patologie multiple, ecc.. Semplicemente persone. Il lockdown, la chiusura totale, ha evidenziato una responsabilità che quasi non pensavamo di avere. Ma l’abbiamo colta, non con rassegnazione, ma con la serietà di chi è convinto di avere fatto un grande gesto. Certo, molti si lamentavano, altri trasgredivano, ma la maggioranza ha dimostrato che il motto “restate a casa” è stato rispettato. Ci si è inventati di tutto per ingannare il tempo che, a casa, passava lentamente.
C’è chi ha cantato e suonato dai balconi, chi ha insegnato piroette ginniche per evitare il cumulo di grasso. Altri si sono presi a cuore gli studenti che, nonostante tutto e con non poca fatica, hanno seguito le “lezioni a distanza” ritenendole qualcosa di cui c’erano poche alternative. Ma, soprattutto, ci sono state centinaia di persone che si sono prodigate, non per caso ma per professione, nel curare chi si recava in ospedale ammalato gravemente accompagnandolo, purtroppo spesso, verso il suo ultimo respiro. Non degli eroi che di solito sono rapidamente dimenticati, ma professionisti della cura delle persone. Molti di loro ci hanno rimesso la vita nell’esercizio del loro dovere svolto con serietà e competenza. Questa la storia recente. Una storia che ci ha visto, pian piano, abbandonare la chiusura totale perché, sembrava e sembra che le notizie sanitarie permettano di poter allentare la morsa.
Le sollecitazioni alle aperture arrivate soprattutto dai grandi e piccoli imprenditori, dai gestori di esercizi commerciali, dal turismo e anche da chi, da mesi, non vedeva gli anziani genitori, i figli, i nipoti, le fidanzate e i fidanzati e gli amici. Tutta un’operazione gravata da una responsabilità personale straordinaria che non può non avere davanti una specie di specchio retrovisore che guarda indietro a ciò che è successo. L’allentamento di lunedì scorso ha mostrato, però, che non poche persone, in assoluta noncuranza e avendo “quasi” dimenticato il recente passato, si ha data al sereno riempimento delle piazze e dei bar. Controlli delle Forze dell’ordine a tappeto, quasi una città blindata per far rispettare le regole.
Forse, l’altro motto “non saremo più come prima”, di fronte all’aria aperta, alla sanguigna voglia di fare irrispettosa baldoria, non ha più senso. Se i primi giorni di apertura e lavoro di chi deve adeguarsi alle regole, vengono frantumati da chi vorrebbe invece tornare rapidamente come prima, riscoprendosi forti e mettendo a rischio il sacrificio della vita fatto da molti e il sacrificio di rimanere a casa fatto da tutti. Non so se saranno le multe e le punizioni a far venir meno comportamenti scarsamente intelligenti. Ma noi siamo qui per evitare che il dramma ritorni nella speranza che a breve, arrivi una cura per tutti. Anche per i milioni di persone che vivono in paesi meno fortunati di noi e che rischiano, a brevissimo, di raccogliere i morti per strade. Spero che la lezione ci abbia insegnato quanto basta.