Padova: mura alte, porte chiuse
Il tempo passa in fretta e da qualche mese, noi padovani, stiamo assistendo al working in progress del nostro sindaco. Ogni giorno ha la sua pena e, diciamo, la sua ordinanza, capace di suscitare consensi da parte di chi ha bisogno di identificare il nemico giornaliero, un po’ meno, da parte di coloro che vorrebbero che la nostra città alzasse la testa oltre le ossessioni del primo cittadino. Ultima, seppur con piccole variazioni in corso di annuncio, è la questione ebola. Mi permetto di dire che la questione ebola c’entra poca. C’entra molto, invece, l’accanimento del nostro sindaco,che vorrebbe essere terapeutico, nei confronti degli extracomunitari, cosa di cui è maestro. Ogni persona di buon senso, dal nord al sud dell’Italia, capisce che l’annuncio del cordone sanitario attorno a Padova è zoppo in partenza: prima per le responsabilità del comune in materia sanitaria, secondo per l’impossibilità di controllare chi, secondo lui, proviene dall’Africa e potrebbe soffrire della grave malattia, terzo perché chi arriva dall’Africa viene controllato già sulle navi e se avesse contratto il virus dell’ebola, questo sarebbe già manifesto molto prima di arrivare, eventualmente, nella nostra città;; quarto perché i controlli sarebbero impossibili e non sortirebbero l’effetto desiderato. Usare un problema così drammatico, di grande sofferenza soprattutto per chi già soffre, per fare l’ennesima campagna propagandistica contro gli extracomunitari è indegno per la comunità padovana. Altra cosa è prendere in seria considerazione la questione sanitaria assieme alle autorità competenti. Ma il nostro sindaco si crede, probabilmente, omnicompetente e le sue grida si occupano di ogni cosa. . I fatti chiariscono, comunque, come dimostra il nostro sindaco, che è sempre più semplice costruire mura oltre a quelle stupende che abbiamo già, che aprire porte; meglio dire che si controllerà ogni angolo di Padova, che creare le condizioni perché si debbano ridurre i controlli in quanto si vive meglio; meglio vietare di bere davanti ai bar, che lavorare perché i giovani, se non smettano di bere, almeno bevano meno; meglio togliere le panchine piuttosto che far sì che chi si siede siano anziani e mamme con i loro bimbi; meglio portare le auto in centro storico piuttosto che le persone (sono le persone o le auto che spendono?); meglio parlare di repressione che di integrazione;meglio punire tutti i mendicanti a prescindere, che combattere la povertà; meglio ridurre le tasse che aiutare le famiglie; meglio pensare al filobus (preistoria del trasporto!) che al tram buttando a mare 80 milioni di finanziamento; meglio vagare per la città in cerca di un’area per l’ospedale, che dire avevano ragione gli altri, e si potrebbe continuare. Tutto ciò non apre le porte della nostra città e qualcuno, infine, dovrà tirare tra qualche anno le somme. Una città sicura non si costruisce con l’aumento delle telecamere o con i certificati di buona salute, né edificando mura sulle quali mettere sentinelle. La propaganda nasconde la vera realtà, purtroppo,: migliaia di metri quadrati in vendita per costruire centri commerciali, la stessa sicurezza chiacchierata ma con risultati mediocri rispetto ai proclami; lavori fermi nelle periferie per l’inerzia degli assessori; infine, una città che sta andando verso un pesante declino sociale e solidale. Solidarietà, appunto, termine sconosciuto al nostro sindaco o venduta anche questa in salsa padana. La solidarietà bisogna ritrovarla soprattutto attraverso lo straordinario tessuto associazionistico, delle parrocchie, dei gruppi sportivi, delle cooperative che opera nella nostra città. Padova ha bisogno di respirare a pieni polmoni, di aprirsi perché solo così può ritrovare se stessa e lavorare sul proprio destino assieme a chi può renderla più viva e vitale in un mondo in rapido cambiamento.